Le sette anime di Will Smith

Una scena tratta dal film "Sette Anime"Sabato sera mi sono rinchiuso in un multisala con la mia dolce metà. L’intento era quello di trascorrere una serata all’insegna della spensieratezza. La settimana appena passata era di quelle che qualche livido lo lasciano. Così ci siamo spostati dal centro di Brescia alla sua immediata periferia, dove si trova il Warner di zona. Avevo trovato la locandina con la programmazione della serata in un negozio gestito da una slava magrissima, accanto al registratore di cassa. Volevo vedere “Yes man”, ma solo dopo una pizzata con delizia al limone in uno dei nostri locali preferiti, gestito da veri amalfitani. Per il film con Jim Carrey però era quasi tutto esaurito e “Milk” – la mia seconda scelta per una serata all’insegna della spensieratezza – lo davano da tutt’altra parte. Restavano solo “Viaggio al centro della terra”, “Italians”, “Imago mortis” e “Sette anime”. Io avevo gli occhiali, il che si concilia male con le mascherine usa-e-getta per il 3D. Verdone è ufficialmente alla frutta almeno da “Grande, grosso e Verdone”.  Film di paura neanche a parlarne, io per primo. Restava solo lo sguardo enigmatico di Will Smith che fissava nel vuoto da un poster alto un paio di metri. E così, a dieci minuti dall’inizio delle ultime proiezioni, abbiamo optato per “Sette anime”.

Non ho mai visto “La ricerca della felicità” e non avevo mai sentito parlare di quest’ultimo lavoro di Gabriele Muccino. Non credo nemmeno di avere mai visto qualcosa con Will Smith – non al cinema, comunque. Beh, non è stata una serata all’insegna della spensieratezza, per niente. Ma il film mi è piaciuto e consiglio a chiunque sia ancora dotato di un bagaglio minimo di sentimenti di andarlo a vedere. Ok, non è un film perfetto e non è senz’altro un capolavoro. Ma è ben fatto e merita. Ho apprezzato fotografia e montaggio. Il cast è quasi perfetto: mi ha sorpreso la recitazione di Will Smith – non sempre, ma quasi.  L’unico vero difetto di questa pellicola sta IMHO nel solito finale all’americana, che ho trovato pleonastico (nel senso di troppo dettagliatamente esplicito). Il film si sarebbe dovuto concludere esattamente con la telefonata di Tim al 911, ovvero nel punto esatto da cui era cominciato. Si sarebbe chiuso un cerchio perfetto: i pochi minuti che seguono sono del tutto superflui e non dicono nulla che non si intuisca già. Anzi: le scene successive sono troppo esplicite e rovinano, in un certo senso, la poetica di tutto quello che viene prima. Non dico altro per non rovinarvi il finale. Ma poi, se mai lo andrete a vedere, fatemi sapere se siete d’accordo o meno, ok?

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