Figli del Commodore 64

Quanto tempo è passato? Sono vent’anni buoni ormai. Quei pochi della mia generazione che non si limitavano a lanciare il load dei videogiochi, ma si davano da fare per animare sprite o per formattare la ricerca di scienze con i primi rudimentali word processor – no, niente finestre! – ritrovavano dentro a quel riquadro blu la stessa atmosfera di Wargames. A onor del vero il mio di riquadro era di un altro colore: per questioini di budget avevo un monitor Fenner a fosfori verdi. Il senso quasi mistico della scoperta ottenuta un po’ a fatica e un po’ a culo, lavorando per ore a lunghe sequenze di stringhe dal significato necessariamente oscuro. Internet era un’arma segreta di cui ignoravamo l’esistenza: anche se conoscevamo bene il funzionamento del modem, eravamo ben lungi dall’immaginare che un giorno sarebbe successo tutto questo. Riviste di informatica ce n’era pochissime. Era tutto un provare provare provare che raffinava l’istinto del futuro problem solver. Avrei ritrovato lo stesso spirito soltanto molti anni più tardi, con la scoperta di Linux e delle infinite possibilità che sembrava presagire. Ma in fondo il metodo acquisito sul C64 ci è rimasto dentro: la voglia di scendere sempre più in basso nell’esplorazione di un’architettura, lo sforzo di trovare sempre nuovi impieghi per applicazioni originariamente destinate ad altro, la capacità di stupirsi sempre e comunque e la voglia di condividere ogni scoperta con qualcuno che avesse la tua stessa passione. Il desiderio di conoscere. Una spezia così rara, specie tra la mia gente di allora. E questo riguarda qualcosa di molto più grande. In fondo, su quella pietra di paragone che fu il C64, misuravamo allora la portata delle nostre aspirazioni. Qualcosa di quasi mistico. Come la musica di Franco Battiato.

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