Karl Unterkircher, Nanga Parbat e Mont Dolent: riflessioni a cielo terso

Ho atteso che la brutta disavventura sul Nanga Parbat giungesse al suo epilogo prima di scrivere qualsiasi cosa in merito. Questa mattina è finalmente riuscito il salvataggio di Walter Nones e Simon Kehrer, i due compagni di cordata di Karl Unterkircher rimasti in balia della parete Rakhiot per quasi dieci giorni.

A parte le poche ma immancabili code polemiche che ogni impresa straordinaria si porta dietro (si veda l’attacco di Fausto De Stefani sull’edizione online del Corriere) il Comitato EV-K2-CNR sta ricevendo dall’alba di questa mattina messaggi di congratulazioni per il modo in cui sono state condotte le operazioni di salvataggio. L’unità di crisi è stata allestita proprio presso la sede del Comitato qui a Bergamo, sede che è stata subito assediata da giornalisti e troupe televisive.

La notizia del salvataggio ha avuto conseguenze significative anche per me: il picco di accessi improvviso e violento ai siti Internet del Comitato mi ha costretto ad un intervento di emergenza su di un firewall che ha mostrato più volte momenti di cedimento. Oltre 40mila navigatori in una sola ora, di cui la maggior parte interessati ai voluminosi video che documentano l’intera operazione.

Ora che tutto, proprio tutto si è concluso, viene d’istinto interrogarsi sul significato di questa vicenda così straordinariamente umana. La morte di un piccolo uomo, non un eroe, ma un piccolo uomo dagli occhi limpidi ingoiato dal mostro a cui tanto indissolubilmente aveva legato la sua vita, un amore fatale per il mistero più grande, ovvero la Montagna e il suo invisibile intrico di significati nascosti: sfida, elevazione, ascesi, vita e morte.

Mi ha molto appassionato questa vicenda, e non solo perché mi ha coinvolto, sebbene indirettamente. E mi ha impressionato altrettanto la sciagura avvenuta oggi sul Mont Dolent così come la fatale concomitanza dei due eventi. Certe cose sembrano intrecciare misteriosamente i proprio percorsi per significare altre cose più grandi. Oppure sono i nostri occhi a inventare questi percorsi invisibili. Per il bisogno di dare un senso alle cose. Per il bisogno di capire.

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