I giorni del bunker

Lo chiamiamo così dal primo giorno: il bunker. È solo una stanza di venticinque metri quadrati nel seminterrato. L’ho fatta sistemare un annetto fa: pavimento, luce e acqua. Anzi a dire il vero l’impianto elettrico me lo sono fatto da solo o quasi. Ma in questi giorni di emergenza per il Covid-19 il bunker sta diventando il cuore della nostra casa.

Scendo qui sotto poco dopo le 6:00 e mi faccio un’ora di tapis roulant. Tanto non disturbo nessuno, sopra non si sente quasi niente di qualsiasi cosa succeda qua sotto – il che ha anche dei risvolti inquietanti. Mentre sudo su quella striscia che mi scorre sotto i piedi mi guardo un paio di episodi di una serie su Netflix. Sono in piena fase “Black Mirror” anche se mi lascia mediamente piuttosto tiepido, tranne qualche eccezione. Ma ho bisogno di distrarmi: alle 6:00 io sono già sveglio da un paio d’ore e mi sono sparato tutti gli aggiornamenti sul corona virus, ho passato in rassegna i server e pianificato la giornata lavorativa, devo scaricarmi.

Lavoro, salgo per pranzo, due chiacchiere con Vania e poi scendo di nuovo e lavoro ancora.

Se spegni le luci e la guardi in penombra la mia postazione ha l’aspetto di uno di quei posti che nei film sono abitati da pericolosi maniaci psicopatici, così mi hanno detto ieri. Ma è solo perché ho scelto di concentrare lì tutto quello che mi serve: desktop, portatili, nas, radio, dispositivi iot, cavi ovunque, eccetera. Sono uno che per forza di cose – e per passione – deve sempre sperimentare molto. Risvolti positivi della mia nerditudine.

Da quest’angolo sprofondato di mondo apro e chiudo sessioni di videoconferenza con tutti i miei referenti, anche loro sparpagliati ognuno in un qualche angolo improbabile delle rispettive case: cucine, salotti, una volta mi è parso addirittura di intravedere le piastrelle di un bagno.

Le ore non bastano mai – ma questo era così anche prima della pandemia – il tempo è tiranno, le solite tensioni, emergenze, tempi di intervento prossimi allo zero, problema risolto, pacche sulla spalla, fine.

Verso le 18:00 scendono i bimbi. Il bunker era stato pensato anche e soprattutto per loro: uno spazio dove lasciarli liberi di giocare nei giorni di pioggia. Il Leo mi sfida alla Wii mentre la Marly passa da un puzzle alla vecchia macchina per scrivere che ci ha regalato la nonna.

Insomma, la vita domestica si riprende i suoi spazi e mi riporta alla realtà: si risale tutti insieme per la cena. Ma è una realtà surreale e insolita. Io spero che sia anche una realtà provvisoria, ma non sono propriamente fiducioso. Ci vorranno mesi per uscire davvero da questa realtà. La realtà di quello che nessuno si sarebbe mai aspettato. Una pandemia… pazzesco, no?

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